29 agosto 2016

IL MULINO DA SETA BOLOGNESE (o rotondo)


Mulino da seta per la torcitura del filo completo di ruota idraulica, 
torcitoio e incannatoio laterale
Grande modello funzionante (scala 1:2), di metri 3,40 di altezza e 2,30 di diametro.
Introdotto a Bologna tra i secoli XVI e XVII
Museo del Patrimonio Industriale  - Bologna


Incannatoio meccanico per il trasferimento in rocchetti
del filo di seta tratto in matasse (Vista laterale)
Modello funzionante (scala 1:2)
Museo del Patrimonio Industriale - Bologna



Le fibre tessili - canapa, lino, seta e lana - prima di essere messe al telaio devono essere o filate o ritorte per aumentarne la resistenza. Questa operazione si faceva tradizionalmente a mano, o con l'aiuto di piccoli strumenti domestici, come il filarino. Nella provincia di  Bologna, fin dal secolo XIV, venne utilizzata per la torcitura della seta una macchina complessa di origine lucchese - il filatoio rotondo - che metteva in movimento decine o centinaia di fili. Al prototipo lucchese mosso a braccia venne applicata la ruota idraulica e in tal modo filatoi di piccole dimensioni collocati in una stanza si trasformarono in mulini da seta disposti su tre-quattro piani degli edifici.


Rappresentazione immaginaria dell'interno di un mulino sa seta.
Disegno di Claudio Cicognani



L'aumento della loro capacità produttiva creò una strozzatura nel ciclo di lavorazione. I filatoi potevano lavorare solo fili avvolti in rocchetti, ma la seta, ma la seta usciva dalle filande (dopo la trattura dei bozzoli) in matasse e il trasferimento sui rocchetti (incannatura) era condizionato dai ritmo produttivi delle operaie che nelle loro case svolgevano a mano questo lavoro. A Bologna il problema fu risolto nel secolo XVI con l'introduzione dell'incannatoio meccanico collegato agli stessi organi di trasmissione del filatoio. I mulini da seta alla bolognese (con ruota idraulica e incannatoio) riducevano contemporaneamente i tempi di produzione dei filati e miglioravano la qualità del prodotto. Erano già il "sistema fabbrica".


 


Il filo di seta è una fibra naturale prodotta dal baco nella forma del bozzolo. Fin dall'antichità questo filo lungo alcune centinaia di metri veniva svolto dal bozzolo attraverso una prima lavorazione detta trattura che utilizzava una bacinella e un aspo. Dalla bacinella che conteneva i bozzoli a bagno nell'acqua calda, una lavorante formava con una decina di capi un unico filo che un'altra donna avvolgeva sull'aspo formando una matassa. Quando la trattura si concentrò  in grandi filande decine di operaie eseguivano il lavoro con macchine più perfezionate. Questi filati prima della tessitura subivano ulteriori lavorazioni: torciture e binature che consentivano al filo di acquistare solidità, compattezza e lucentezza. Il mulino da seta rotondo è stato per secoli nell'area delll'Europa Occidentale la macchina che serviva a questo scopo. Ma il torcitoio poteva lavorare solo fili avvolti in rocchetti. L'incannatura era la lavorazione che dopo la trattura trasferiva a mano i fili sui rocchetti. Dal secolo XVI questa operazione fu meccanizzata collegando l'incannatoio agli ingranaggi che muovevano il torcitoio. In tal modo centinaia di matasse erano contemporaneamente svolte e direttamente trasferite su altrettanti rocchetti pronti per essere messi sul torcitoio. Se con le mani non era possibile torcere più di un filo alla volta il mulino da seta a seconda delle sue dimensioni poteva compiere contemporaneamente il lavoro di centinaia di mani.

Nel torcitoio ogni rocchetto di filo di seta è montato sul proprio fuso e ciascun capofilo passando per una serie di guidafili viene fissato all'aspo e alla rocchella. L'albero centrale mosso da una ruota idraulica gira a circa 4-5 giri al minuto e sostiene strofinacci e cinghie che per frizione determinano uno svolgimento molto veloce del filo dei rocchetti. Questo filo attraverso particolari meccanismi  detti va e vieni si distribuisce e si raccoglie sulle rocchelle e sugli aspi mossi più lentamente da bozzoniere azionate da serpi che portano la giostra. Se un fuso fa 500 giri al minuto e sull'aspo si avvolge un metro di filo, quel metro avvolto avrà 500 punti di torsione. 

Col mulino da seta si preparavano vari tipi di filati per trame e orditi. Il più famoso di questi era l'organzino: un ordito ottenuto dalla torsione congiunta di due fili precedentemente torti separatamente.  

La storia del mulino da seta comincia a Lucca nel XII secolo dove compare il primo tipo di filatoio a braccia di forma rotonda, ma è a Bologna che tra il XIV e XVI secolo la macchina si perfeziona con l'aggiunta della ruota idraulica e dell'incannatoio meccanico.¹ Nelle case-opificio che contenevano i mulini da seta di questa città, accanto ai locali destinati all'abitazione, le parti meccaniche dei filatoi, dei torcitoi e degli incannatoi occupavano interi piani degli edifici e le ruote idrauliche situate nelle cantine erano mosse dall'acqua derivata dai canali mediante condotte sotterranee dette chiaviche. Gli storici della Rivoluzione Industriale descrivono questa macchina come quella che per prima ha realizzato il "sistema di fabbrica" perché ha meccanizzato la produzione e subordinato il lavoro a compiti di alimentazione, sorveglianza, controllo. La manodopera degli incannatoi era costituita da bambini, pochi operai adulti erano alle macchine per annodare i fili quando si rompevano e le donne eseguivano la doppiatura dei fili di prima torsione effettuata a mano o con strumenti semplici per preparare i filati alla torsione successiva. I silk-mills inglesi del XVIII secolo che anticipavano le fabbriche tessili del secolo successivo erano copiati dai grandi mulini da seta diffusi soprattutto nell'Italia centro-settentrionale. Essi rappresentavano la più alta tecnologia europea prima della Rivoluzione Industriale. 


“Ogni 16 Agosto. La compagnia dei Filatoglieri del Protettor suo S.Rocco fà la festa et offerisce alla Chiesa del detto Santo nel Pratello. Nella Città sono trà Filatogli e Torcitogli circa 330. Questi sono machine, le quali mosse da un piccolo canaletto d'acqua, fanno ciascun di loro agevolmente e con meravigliosa prestezza incannare, filare e torcere giorno e notte cinque mila e più fila di seta, operando in un'istante quello che farebbe cinque mila Donne lavoratrici. Quest'Arte fù introdotta del 1272 da Ser Borghesano Mercante da seta Luchese, che venendo a Bologna fece far' il primo Filatoglio fuori di porta Castiglione, presso a quel canale d'acqua e perciò fù fatto Cittadino Bolognese chiamandolo Borghesano dalla seta; e del 1341 Bolognino suo figliuolo ne fabricò un altro sotto la Capella di S.Biagio nella via di Fiaccacollo (via Rialto).” - D'Antonio Masini, 1650. 


L'industria della seta a Bologna    
 
Spesso si ha una immagine distorta di  Bologna: si pensa sia stata la capitale di un'area agricola e che la sua industrializzazione abbia avuto inizio alla fine dell'Ottocento. Ma la città è stata per secoli (XVI-XVIII) un grande centro industriale e il settore più importante della sua produzione era rappresentato dal setificio. La lavorazione avveniva nei molteplici Mulini alla Bolognese che sfruttavano le acque dei canali come forza motrice. 

Alla fine del secolo XVII esistevano a Bologna, dentro la città murata, 119 mulini da seta mossi da 353 ruote idrauliche di piccole dimensioni (nel 1653 si raggiunsero in città i 330 filatoi), a cassette, alimentate dall'alto e di una potenza da 1 a 2 HP. Questa struttura produttiva evidenziava la sinergia tra due specifiche innovazioni: quella delle macchine e quella della distribuzione dell'energia. Dai canali, attraverso le chiaviche, l'acqua raggiungeva le cantine di interi isolati e sfruttando la pendenza del terreno alimentava con una distribuzione a rete centinaia di ruote idrauliche di torcitoi e filatoi. Questa struttura produttiva - tutta urbana che vietava la diffusione della lavorazione serica nelle campagne - si fondava sull'integrazione di diversi modi di produrre: il "sistema di fabbrica" (introdotto nella torcitura a partire dal secolo XVI), il sistema delle arti (che proseguiva la tradizione medioevale) e il lavoro a domicilio. Quest'ultima forma era largamente impiegata nella tessitura. Il mercante attraverso un rapporto di puttyng out system forniva la materia prima e gli strumenti per il telaio e provvedeva a vendere successivamente il prodotto finito.
Alla fine del secolo XVI la produzione serica (filatura e tessitura) dava da vivere a circa 24.000 persone su 60.000 abitanti e i prodotti venivano esportati sul grande mercato internazionale: in Francia, nelle Fiandre, in Germania, in Inghilterra, nell'Oriente Ottomano, nella vicina Venezia. I filati comprendevano prodotti di grande qualità come gli orsogli, mentre i tessuti erano famosi per le drapperie ma sopratutto per i  veli, tessuti leggerissimi, trasparenti per i quali era necessario disporre di filati particolarmente sottili, perfetti, resistenti come solo a Bologna si sapevano lavorare.




Dalla documentazione esistente risulta che l'anno migliore fu il 1687 con una produzione di 1.306.073 libbre (472,67 tonnellate) di seta, mentre il peggiore fu il 1704 in cui furono prodotte soltanto 98.985 libbre (35,82 tonnellate). Alla fine del Seicento (XVII secolo) si esportavano circa 200.000 libbre di orsogli e velami.I signori dell´industria erano allora gli Zangoli, i Salaroli, i Bonaccorsi, i Pedini.
Ma la città vecchia della seta, chiusa nella difesa dei propri segreti industriali, non riuscì a far fronte ai drastici mutamenti che si delinearono dalla fine del secolo XVII quando la costruzione di grandi e perfezionati mulini si diffuse nelle campagne del Piemonte e in seguito (secolo XVIII) in quelle del Veneto e della Lombardia. Il declino economico dell'antico setificio bolognese fu connesso al consolidarsi di questo nuovo sistema regionale. Una nebulosa alimentata da una crescita senza precedenti della produzione di seta greggia. Una trasformazione che si realizzò compiutamente nel secolo XIX e che restò sostanzialmente estranea a tutta l'area cispadana. A Bologna il rapporto tra filo dell'acqua e filo di seta si spezzò definitivamente nel corso di qualche decennio del secolo XIX.


Plastico del mulino da seta bolognese denominato Pedini
del secolo XVIII (scala 1:33)
L'edificio è stato sezionato lungo il muro che separava lo spazio domestico dal luogo di lavoro.
Il modello è esposto al "Museo del Patrimonio Industriale" di Bologna
     

Il Mulino Pedini era uno dei 74 filatoi ancora attivi a Bologna alla metà del secolo XVIII. Questo mulino prendeva il nome dal primo proprietario e sorgeva in via Azzogardino nel cuore protoindustriale della città. Nella stessa area funzionavano altri 13 opifici idraulici con diverse destinazioni produttive: cartiere, mangani e macine. Come mostrano le antiche mappe catastali il mulino riuniva funzioni abitative (la casa) e produttive (l'opificio). Lo spazio di lavoro era organizzato in senso verticale secondo la struttura dei filatoi e dei torcitoi. I motori idraulici, collocati nelle cantine, davano movimento alle macchine per torcere i fili di seta nel corpo centrale dell'edificio e agli incannatoi meccanici presenti nei solai. Lo  spazio-casa e lo spazio-opificio erano regolati diversamente. Da una parte la luce, il fuoco, l'acqua bianca del pozzo; dall'altra il buio, il freddo, il rumore e le acque nere di uso industriale. In mezzo una loggia di ingresso che univa ed insieme separava la vita familiare dal lavoro organizzato sulla base del modello del sistema di fabbrica. Secondo le fonti demografiche ed economiche questi spazi erano animati il 12 dicembre 1780, un sabato, da 37 bambini e 13 uomini. Il Mulino Pedini non era una cellula isolata nel tessuto urbano ma il punto di una rete produttiva che intrecciava macchine, motori, uomini, chiaviche, strade, prodotti. L'edificio è andato distrutto nel corso dell'ultimo conflitto mondiale.

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LINK ESTERNI

Museo del Patrimonio Industriale - Bologna - ultima verifica: 28/096/2021
  

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