31 marzo 2017

Mantello di Ruggero II

La seta in Sicilia

Sappiamo che la seta giunge in Italia dalla Grecia e dal Medio Oriente. L'arte della seta si sostiene meglio nel sud Italia; in Calabria divenne intensa la coltivazione del gelso e degli allevamenti di bachi da seta grazie all'apporto dei monaci basiliani. Anche in Sicilia il baco da seta era probabilmente già stato importato dai bizantini. È certo che la produzione tessile di vari materiali fosse notevole nel sud Italia. Qualche nuovo motivo arricchisce le stoffe seriche siciliane che restono però sempre vincolate alla tradizione bizantina e araba, la prima palese nei motivi circolari e nei colori sobri, la seconda nelle scritte e nella ricchezza dei particolari decorativi.¹

Mantello di Ruggero II, Kunsthistorisches Museum, Vienna 
  


In Sicilia, sotto il regno normanno di Ruggero II d'Altavilla, primo re normanno di Sicilia (1130-1154) , furono fatti venire, forse con la forza, tintori e tessitori greci perché lavorassero nelle manifatture reali². Ugo Falcando in Storia della Sicilia, redatta prima del 1190, scriveva: «Né conviene tacere delle nobili officine attigue al Palazzo, ove il filo serico colorito in matasse di vario colore viene poi impiegato nelle molteplici specie del tessere. Vi puoi infatti vedere come vengono eseguite con minor perizia e minor costo amita, dimita e trimita; ma anche le examita, che richiedono un maggior impiego di materia prima. Il diarhodon riverbera nel viso il fulgore del fuoco. Il diapiston, di color verdolino, blandisce gli occhi di chi guarda con la sua grata apparenza. Qui si producono gli exarentasmata, resi insigni dalla varietà dei cerchi, che richiedono agli artefici una maggiore industria e un più largo impiego di materiali, e che perciò meritano un maggior prezzo. Vi si vedono ancora molte altre cose di vario colore e ornati di vario genere, in cui l'oro si intesse con la seta, e la varietà di pitture multiformi viene posta in risalto da gemme lucenti; le perle vengono raccolte dentro ciste d'oro, o perforate e connesse con l'esile filo. L'elegante arte nel disporle accresce la bellezza dell'opera dipinta».







Ed è proprio da Palermo che ci sono pervenuti i primi manufatti serici italiani: le vesti regali dei re normanni e degli imperatori svevi di cui il più famoso è il cosiddetto "mantello dell'incoronazione" così chiamato per essere adoperato dagli imperatori del sacro Romano Impero per la cerimonia dell'incoronazione, e per questo motivo finito nel tesoro degli Asburgo e conservato nel tesoro degli Hofburg (Weltliche Schatzkammer), cioè il museo imperale di Vienna. È un opera di straordinaria sontuosità, a forma approssimativamente semicircolare.


Particolare del manto di Ruggero II in cui si può notare
il bordo inferiore decorato dalla iscrizione a caratteri cufici.


Il  mantello è in seta rossa di ampie dimensioni (345 x 146 cm.) e il colore rosso di fondo è stato ottenuto non dalla porpora, ma dal "chermes", un colore ottenuto da insetti.³ Il tessuto del manto è largamente ricoperto da ricami a fili d'oro, smalto e perle, presenta, al centro, una palma in oro stilizzato che simboleggia "l'albero della vita", con sette rami; ai lati dell'albero, simmetricamente sono raffigurati due leoni in posizione speculare raffigurati nell'atto di sopraffare due cammelli, già proni sotto gli artigli dei due leoni. I cammelli, fra le zampe dei leoni, rappresenterebbero i sudditi arabi nelle mani del re a cui rimanda il leone, animale araldico degli Altavilla. Sulla testa di ciascun leone è applicata una borchia d'oro di smalto cloisonné, a disegni geometrici, mentre le figure dei nobili animali, dal portamento eretto in contrasto con quello sottomesso dei cammelli, sono tutte bordate da filo d'oro e da due file di minuscole perle d'acqua dolce, che delimitano anche i riccioli delle criniere.  






Nel bordo inferiore il manto, è costituito da un fregio ornato d'oro, perle e piccole piastre d'oro e smalto con disegni per lo più geometrici. Un ultima banda corre lungo l'orlo curvilineo del mantello e reca, in caratteri cufici,⁴ una iscrizione araba da cui risulta che venne eseguito nell'anno 528 dell'Egira⁵ (quindi 1133-34) nella "tiraz" (officina reale) di Palermo. L'iscrizione, dedicata a Ruggero, dice: «Lavoro eseguito nella fiorente officina reale, con felicità e onore, impegno e perfezione, possanza ed efficienza, gradimento e buona sorte, generosità e sublimità, gloria e bellezza, compimento di desideri e speranze, giorni e notti propizie, senza cessazione né rimozione, con onore e cura, vigilanza e difesa, prosperità e integrità, trionfo e capacità, nella Capitale della Sicilia, l'anno 528».  (trad. Fr. Gabrieli).

È realizzato in un tessuto chiamato diaspro.⁶ in modo che le immagini risultino in rilievo. Le fodere del mantello erano tre, probabilmente cucite l'una sull'altra nel tempo, per l'usura delle precedenti.



La prima e più antica è in seta dorata tipo arazzo, forse dell'inizio del XII secolo, con colori vivaci come il rosso, l'oro, il verde, il blu, il viola, il giallo ocra, il bianco e il nero. 




La seconda è una fodera rossa, di manifattura italiana posteriore (XIV secolo) che assomiglia ad un lampasso con disegni a motivo floreale in verde, blu e bianco.




La terza fodera è in lampasso di seta verde cangiante, a fasce tono su tono con motivi vegetali.

Il mantello non può essere servito per l'incoronazione di Ruggero II⁸, anche perché gli elementi decorativi non sono cristiani; è più probabile che Ruggero II se ne sia servito per udienze o per incontrare ospiti particolari.

Questo splendido manufatto, come altri preziosi che arricchivano la reggia di Palermo, fu asportato dal tesoro reale di Palermo da Enrico VI, marito di Costanza d'Altavilla e padre di Federico II, dopo che, nel 1194, prese possesso, con la forza e con l'inganno dei domini normanni. Fece, infatti, parte dei beni che oltre un centinaio di muli portarono dalla Sicilia a Norimberga (Germania) quasi si trattasse di un vero e proprio bottino di guerra.⁹ 


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₁ Rosita Levi Pisetzky, Storia del costume in Italia, Istituto editoriale Italiano - Treccani, vol. I, p. 231 
₂ I laboratori reali di tessuti di Palermo erano chiamati "Tiraz" (in greco "Ergasterion", in latino "Nobiles Officinae"), che i Normanni trovarono impiantata e che vollero mantenere in funzione, anzi ne potenziarono in vari modi la potenzialità ed il prestigio. Nella Tiraz si producevano tessuti, tappeti, oreficeria ed altri oggetti di pregio destinati all'uso della famiglia reale, dei notabili, come doni di ambascerie, e in parte per l'esportazione in altri paesi. Si sa che il laboratorio di Palermo era annesso alla reggia, sebbene sia difficile stabilire oggi quale fosse la sua precisa collocazione nell'ambito dei vari settori che costituivano il complesso del Palazzo Reale. 
«Il colore ha grande importanza nel determinare il valore delle stoffe, sia perché alcune materie tintorie sono costosissime, sia perché i colori preziosi (...) sono adoperati soltanto per i tessuti di qualità più fine». R.L. Pisetzky, Storia del costume in Italia, op. cit. vol. I, p. 233  
₄ Caratteri usati nella fase più antica (VII-X sec.) della scrittura araba, sia epigrafica sia letteraria, con forme rigide impiantate su una linea di base orizzontale.   
₅ Il calendario islamico si basa su una scansione del tempo puramente lunare. Parte dall'anno 622 in cui fu compiuta l'Egira del profeta dell'Islam Maometto. 
₆ Nel diaspro (o meglio "diasprum", voce che deriva dal latino diaprum) il fondo è un tessuto semplice, mentre il motivo decorato è lavorato con una trama pesante costruita su due orditi. È una stoffa serica per l'abbigliamento ecclesiastico, particolarmente lucida, con motivi opachi. È detta anche "diasperata". 
₇ Tessuto operato di grande pregio, originariamente fatto a mano, che impiega almeno due orditi (uno di fondo) ed una o più trame per permettere una stoffa a più colori e con motivi a rilievo.
₈ L'incoronazione di Ruggero II a re di Sicilia è avvenuta, a Palermo, nel dicembre 1130.
₉ "Per circa nove secoli , il manto ed altri pezzi importanti di artigianato tessile normanno - e cioè l'Alba di Guglielmo, i chiriteche, i tibiale, i sandali e la cintura, anche questi sottratti da Enrico VI - sono rimasti a Vienna senza che alcuno ne reclamasse la restituzione, almeno fino al 1918, quando il trattato di pace, siglato dopo la sconfitta dell'impero austro-ungarico, previde fra le altre clausole di riparazione che l'Austria dovesse restituire all'Italia «tutte quelle opere d'arte sottratte nel corso dei secoli e attraverso svariate vicende storiche a talune regioni d'Italia». Sulla scorta di questa clausola fu presentata anche per quanto riguarda la Sicilia, una documentata richiesta di restituzione dei reperti citati. La Commissione, incaricata della valutazione delle richieste di restituzione, non ritenne però di poter accogliere la richiesta siciliana accampando una opinabile prescrizione del diritto stesso. Chiusa la vicenda, senza una protesta delle autorità italiane, i reperti sono rimasti a Vienna fino all'annessione dell'Austria al Reich nazista che si appropriò dei reperti e li riportò a Norimberga dove, originariamente, li aveva depositati Enrico VI. Nel secondo dopoguerra, il manto e gli altri reperti, subirono un nuovo spostamento: la sconfitta nazista consentiva all'Austria  di chiederne la reimmissione in possesso e infatti il Museo imperiale di Vienna ne tornò in possesso dove, alla faccia del buon diritto dei siciliani, si offrono nella loro magnificenza allo sguardo del turista.". Pasquale Hamel, 23 agosto 2008 16 sez. Palermo



BIBLIOGRAFIA
  • L. Guarasci, La Calabria e la Seta, stampato da La Grafica Meridionale - Montalto Uffago (CS), 2007 
  • M. d'Onofrio (a cura di), I Normanni popolo d'Europa, Roma/Venezia (1994)



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