11 dicembre 2018

INDACO... una delle tinture dei Cieli

Indaco - dal latino indǐcum (folíum), "foglia" indiana; a sua volta derivato dal greco antico ἰνδικόν, Indikon, ovvero “sostanza che viene dall'India”; mentre per gli arabi era an-nīl e per i cinesi tien il laam, che tradotto significa "azzurro del cielo".

Sostanza naturale o sintetica (quella oggi usata dall'industria, che è la quasi totalità dell'indaco prodotto). Ha colore compreso, nello spettro solare, tra il rosso e il violetto. Fu Isaac Newton nel 1672 che ve lo inserì, e solo allora divenne una delle «tinture dei Cieli», per riprendere la bella formula di Sir Walter Scott a proposito dei colori dell'arcobaleno.¹ In tintura esiste un solo azzurro di origine organica che sia veramente azzurro e veramente solido: l'indaco. Tecnicamente una tintura è un agente colorante che si lega alle molecole del materiale che deve essere colorato. L'indaco  e il guado, una pianta piuttosto comune il cui principio attivo è lo stesso dell'indaco (pastel in francese), anche se in concentrazioni minori) vennero utilizzate per colorare le cose in una grande varietà di tonalità di blu, da un blu perla che era quasi bianco fino a un blu mezzanotte, che tendeva al nero, al punto che talvolta veniva chiamata ala di corvo

L'indaco naturale si ricava da diverse piante del genere Indigena (Indigofera tinctoria) e dal Guado (Isatis tinctoria), che vengono tagliate e fatte fermentare in acqua. La pianta è un arbusto, con foglioline verde spento, boccioli rosa e baccelli penzolanti.  L'indaco non esiste tale e quale nelle “piante da indaco”; la sostanza che esse contengono è incolore, associata a un glucosio, l'indacano nelle indigofere, l'isatina B nel pastello. Al momento della raccolta delle piante da indaco, la maciullatura o la macerazione delle foglie nell'acqua provoca un processo di idrolisi enzimatica che separa dal glucosio la molecola di indossile, sempre incolore. È il raggruppamento di due molecole d'indossile in presenza dell'idrogeno dell'aria che produce l'indigotina o indaco, cioè il colorante azzurro propriamente detto. Questa reazione avviene quando si sminuzzano, si rivoltano, si aerano le palle di pastello, o quando si batte energicamente l'acqua delle vasche (Il liquido giallo-verde che si ottiene dalla fermentazione viene fatto ossidare all'aria in ampie vasche, nelle quali viene costantemente agitato) dove sono messe a bagno le foglie di indaco. Ma si pone un problema: l'indaco formato in questo modo è insolubile. Ciò vuol dire che se, una volta polverizzato, lo si mischia con acqua e in questo miscuglio si immerge una fibra tessile, non succede nulla: si estrae dal bagno  un filo o un tessuto imbrattato di polvere azzurra, ma assolutamente non tinto. Per tingere effettivamente il filo o il tessuto in maniera solida e durevole, bisogna poterlo impregnare di indaco ridotto alla sua forma solubile e incolore, e ciò può essere realizzato soltanto in un bagno  di tinta a un tempo riduttore (la temperatura del bagno di tintura non ha bisogno di superare i 50-55°C) avido di ossigeno e alcalino, cioè basico. Contrariamente a ciò che avviene per la maggior parte delle altre tinture, non si tratta di una tintura dovuta a un legame chimico tra il colorante e la fibra, ma di un fenomeno meccanico di precipitazione del colorante nel cuore del tessile.³ Man mano che progredisce l'ossidazione, il colore della soluzione vira dal colore verde con note gialle e gradualmente una volta esposto all'aria diventa un blu-violaceo caratteristico, il cui colore si ammorbidisce e s'attenua col tempo (come sanno quelli che hanno un paio di  blue jeans scoloriti). Viene quindi raccolto il deposito melmoso che si è formato, riscaldandolo per bloccarne la fermentazione. Una volta asciugato, viene messo in commercio a forma di pani.

L'uso dell'indaco ha giocato un ruolo fondamentale nelle tecniche di stampa africane, in quanto è il solo colorante naturale efficace a bassa temperatura sulle fibre vegetali.⁴



L'indaco sintetico è un tipico colorante al tino: data la sua insolubilità all'acqua esso non è infatti capace di fissarsi direttamente alle fibre tessili⁵ e viene ridotto mediante idrosolfito di sodio a leucoindaco, incolore, solubile e capace di essere assorbito dalle fibre sulle quali poi si riossida a indaco a opera dell'ossigeno atmosferico. Da tempo si trovano in commercio, con il nome di indigosoli, derivati solubili del leucoindaco che vengono direttamente usati senza dover prima procedere alla riduzione con idrosolfito. Impiegato  nella tintura delle fibre vegetali specialmente per cotone e lino, meno adatto per la seta. Per ottenere buoni risultati  di tintura per la lana occorre usare, per la riduzione, la minore quantità possibile di alcali.⁶


🇫🇷 Francese: Indigo 🇬🇧 Inglese: Indigo 🇩🇪 Tedesco: Indigo | Indigoblau 🇪🇸  Spagnolo: Añil


 Indigo Dyer in San, Mali, 1977 - foto: © Jenny Balfour-Paul,
scrittice, artista, docente, ha studiato e lavorato con l'indaco per oltre due decenni.
Ha scritto un libro su Indigo (Indigo, 1998, ristampato nel 2006 da Archetype Publications Ltd.),
che gli fu commissionato dalla British Museum Press.

 
STORIA - Colorante noto e impiegato in Asia già 4.000 anni. L'indaco è entrato a far parte delle tradizioni funerarie e di sepoltura di molte culture in giro per il mondo: dal Perù all'Indonesia, dal Mali alla Palestina. Gli antichi tintori egizi iniziarono a intessere fili di stoffa blu nei sudari delle mummie attorno al 2400 a.C.; un paramento reale ritrovato nell'amplissimo guardaroba funerario di Tutankhamon, che regnò attorno al 1333-1323 a.C., era quasi completamente indaco.⁷  È sicuro che, nel I secolo a.C., il romano Plinio nella sua Storia naturale menzioni esplicitamente l'indaco, che descrive come un pigmento o una tintura nera che «viene dall'India», e stemperato produce una «mirabile mistura di purpura e ceruleo».⁸ Alla fine del XIII secolo Marco Polo aveva visto con i propri occhi (o almeno sentito raccontare) la preparazione della tintura, «qual fanno d'herbe, alle quali levateli le radici, pongono in mastelli grandi pieni d'acqua, dove le lassano star finché non si putrefanno, et poi di quelle esprimono fuor il sugo, qual post'al sole bolle tanto, che si dissecca, e fassi come una pasta, qual poi si taglia in pezzi, al modo che si vede che viene condotta a noi».⁹ L'indaco fu introdotto in Europa verso il sec. XVI. Fino alla fine del sec. XIX esso fu esclusivamente estratto dalle piante del genere Indigofera, la cui coltivazione era fiorente in India, a Giava, nell'America centrale e in Cina. Questa tinta occupa un ruolo importante nella cultura di molti popoli.

Nel 1869 il tino all'idrosolfito di soda, inventato da Paul Schützenberger (1829-1897), rivoluziona la tintura all'indaco naturale, e sarà anche adottato definitivamente per l'indaco sintetico.¹⁰ Nel 1897 si ha la prima commercializzazione dell'indaco sintetico da parte della BASF (azienda tedesca), che mise a disposizione circa venti milioni di marchi d'oro per quell'impresa. L'esportazione di indaco naturale dall'India, che era stata di 19.000 t. nel 1896-97, cadde a 1.100 t. nel 1913-14.

L'indaco è sempre stato un caposaldo del commercio globale, ed anche oggi l'industria globale del denim, dominata dal blu indaco più classico, valeva ben 54 miliardi di dollari nel 2011.¹¹ 
 


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₁ Walter Scott, Marmion, in The Poetical Woks of Sir Walter Scott, Robert Cadell, Edinburgh 1841, canto VI, p. 132.
₂ Jenny Balfour-Paul, Indigo: Egyptian Mummies to Blue Jeans, Archetype, London, 2007, p. 140.
₃ Dominique Cardon, Per un albero genealogico del jeans: ritratti di antenati - saggio incluso nel catalogo Blu Blue-jeans. Il blu popolare - ed. Electa, 1989, pp. 17-18

₄ Michela Manservisi - African Style. Stilisti, moda e design nel Continente nero - ed. Castelvecchi, 2002, p. 22
₅ Il principio di questa tintura consiste nell'ottenere un leuco (primo elemento di composti della terminologia scientifica e latina, nei quali indica colore bianco o chiaro) derivato solubile dell'indaco mediante la sua riduzione in ambiente alcalino, in modo tale che il leuco derivato venga assorbito dalla fibra e quindi ossidato in essa; in tal modo la tintura risulta completata. (José Cegarra - Publio Puente - José Valldeperas, Tintura delle materie tessile, ed. Paravia, 1988, p. 392).

₆ Essendo la lana una fibra che viene danneggiata dagli alcali ed occorrendo effettuare la riduzione in mezzo alcalino, è logico che la tintura di questa fibra con l'indaco debba essere effettuata in un ambiente alcalino più debole e proteggendo  convenientemente la fibra con un colloide protettore. (José Cegarra - Publio Puente - José Valldeperas, Tintura delle materie tessile, ed. Paravia, 1988, p. 395).

₇ Jenny Balfour-Paul, Indigo: Egyptian Mummies to Blue Jeans, Archerype, London, 2007, p. 5
₈ Plinio il Vecchio, Historia naturale di C. Plinio Secondo nuovamente tradotta di latino in volgare toscano per Antonio Brucioli, Alessandro Brucioli, Venezia 1548, vol. II, p. CMLXXXIII.
₉ Marco Polo, Dei viaggi di Messer Marco Polo Gentihuomo Venetiano, in Giovan Battista Ramusio, Secondo volume delle navigationi et viaggi raccolto da M. Gio. Batt. Ramusio, Giunti, Venezia 1574, p. 56.
₁₀ Dominique Cardon, Per un albero genealogico del jeans: ritratti di antenati -  saggio incluso nel catalogo Blu Blue-jeans. Il blu popolare, ed. Electa, 1989, p. 22 
₁₁ Just-Style Global Market Review of Denim and Jeanswear - Forecast to 2018, in “Just Style”, novembre 2012, p. 1


CURIOSITÀ - Sono di colore indaco i veli degli uomini Tuaregh: il padre, alla pubertà, consegnerà al ragazzo il "litham". Gli uomini hanno due tipi di velo: il "cheche" è costituito da una fascia alta una ventina di centimetri e lunga fino a tre metri, avvolta attorno al viso e al capo, nascondendo la bocca, realizzato in tessuto di cotone, preferibilmente bianco o tinto di blu o nero. I veli sono avvolti in tanti modi, mai casuali  e rispondono a precise esigenze estetiche e di riconoscimento.

Il velo oltre a proteggere dalla polvere e dal sole, copre la bocca proteggendola dagli spiriti negativi, portatori del malocchio. Il "taguelmoust" è il velo delle feste (in particolare viene indossato in quella dell'Illoudjan), ed è costituito da una fascia che può arrivare fino a sette metri, di finissimo cotone impregnato d'indaco, d'aspetto lucido e cangiante, che riluce di metallico. Più l'uomo è importante e più si coprirà il volto lasciando intravedere solo gli occhi. Il curioso effetto è dovuto dal fatto che il colore viene battuto direttamente sul tessuto, invece di essere immerso, a causa di scarsità d'acqua. Pian piano il colore va via impregnando la pelle lasciando sul volto di chi indossa il caratteristico colore che è valso ai Tuaregh il soprannome di "uomini blu".

In Africa il colore per antonomasia è il blu indaco del cielo. Recita a tal proposito un proverbio del Ghana: «Un tessuto senza blu è come l'Africa senza palme da cocco». La sua valenza, oltre che meramente estetica, è spirituale, magica. In Togo, i tessuti indigo, vengono acquistati come doni famigliari in occasione delle feste di Pasqua, mentre in Benin sono indossati durante le danze cerimoniali vudù.  


RIFERIMENTO LETTERARIO - "...sul pallido indaco delle acque lacustri." (D'Annunzio - Trionfo della morte - del 1894, suo quarto romanzo).


Bibliografia:
  • David Scott Kastan con Stephen Fartthing - Sul colore. Capitolo “Tingere e morire per l'indaco”; Ed. Einaudi, 2018
  • Kassia St Clair - Atlante sentimentale dei colori. Scheda “Indaco”; Ed. UTET, 2018 


11 Dicembre 2018

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